sabato 28 luglio 2007

La solitudine

Avevo sedici anni, subito dopo aver ritirato la moto dal meccanico, intenzionato a rimanere sulla sella fino alla nausea, mi dirigevo verso la piazza centrale, vidi un amico davanti a me, che col suo motorino, mi precedeva di poco, decisi di raggiungerlo, e tentai il sorpasso all’automobile che stava davanti a me. L’auto girò verso sinistra, mentre io ero al centro, urtandomi, schiacciò a terra, la moto, con sotto il mio corpo, finendo per rompermi le ossa di una gamba. Mi vidi dall’alto, disteso in terra, come in un fotoromanzo, per immagini, mentre la benzina si riversava addosso, poi cercando di mettermi dritta la gamba, che sembrava quella di un pupazzo. Ero solo, e non c’era nessuno con me, lì dentro, nel mio corpo, nella mia anima, con quel dolore, e la gamba era mia, di nessun altro. Cercai di infondermi coraggio, dicendomi, “Passerà, non aver paura”. Tenni duro, riuscì a rilassarmi, accettare tutto quello che mi accadeva, ma non durò a lungo. I giorni in ospedale, fermo nel letto, s’inseguirono uno dopo l’altro, cominciai a non sopportare l’assenza di qualcuno vicino, sopratutto nelle notti senza sonno, quando il dolore mi obbligava a stringere i denti, guardandomi attorno, in un silenzio, troppo grande, nonostante i lamenti di tutti i compagni di sventura.
Lo confesso: ho spesso recitato un ruolo, in quei giorni, mi lamentavo più del tanto, volevo ottenere tanta attenzione, per illudermi la notte che non ero solo, ma più mi comportavo così, più sentivo quella solitudine che tanto temevo. Mi lamentavo di quanto stavo male, ma il vero dolore era la paura, ed ero incapace di dire, “Pà, Mà, ho paura!”, no, non sono stato capace di comunicarlo, troppo uomo per ammetterlo, ma non ancora abbastanza da resistere a tutto quel tempo passato da solo con me stesso, un me diverso, sofferente, immobile, senza vie di fuga.
Ho sofferto, ma ho imparato qualcosa, la solitudine, quella negativa, nasce dall’incapacità a comunicare le nostre emozioni ad altre persone, quando con una maschera in faccia, mettiamo in gioco carte false, quelle di un altro noi, artificiale, costruito ad arte, magari, per paura di non piacere, quando è molto forte il timore di essere messi in discussione, perché stare con gli altri comporta un certo rischio, quello d’essere mal giudicati, interpretati, rifiutati, per le nostre idee, per l’opinione personale che abbiamo di noi stessi.
La verità è che riuscire a mettersi in relazione con gli altri è tanto importante, quanto saper star soli, anche quando la compagnia che ci sta vicina, ci disturba, indigna, con frasi, comportamenti, offensivi, ma sono proprio loro a darci l’idea precisa della nostra identità. E’ bello saper stare soli, prendere confidenza con noi stessi, essere in grado di ascoltare le nostre emozioni e di cogliere il senso delle esperienze che stiamo vivendo, infatti, anche la solitudine può rivelarsi costruttiva, quando è legata al gusto di riscoprirsi ogni giorno, e ci permette di comunicare con altre persone, perché chi conosce se stesso, non ha paura di nessun giudizio, ma bisogna ammettere che ricercare la solitudine per porsi al centro del mondo e autocompiacersi nel vittimismo, è una cosa stupida.